La disintermediazione sociale e di consumo: alcuni miti da sfatare.

«La disintermediazione – ci racconta nel suo intervento Silvio Siliprandi Presidente e Ceo di di GfK Eurisko - è elemento di un contesto di cambiamento profondo che ha alcune premesse molto importanti.

«La disintermediazione – ci racconta nel suo intervento Silvio Siliprandi Presidente e Ceo di di GfK Eurisko - è elemento di un contesto di cambiamento profondo che ha alcune premesse molto importanti: ci sono tante cose che si danno per scontate e tanti miti da sfatare».

I mezzi di comunicazione manipolano le persone. Questa è la prima credenza da smentire. Qualcuno ne sarà ancora convinto perché ci sono motivazioni, legate alle euristiche cognitive, che ci portano ad una semplificazione della realtà che cerca di arrivare ad una conclusione di "buon senso" che attribuisce l'intera colpa ad una delle due parti portandoci ad un errore di giudizio.

In realtà, come in ogni relazione, lo scenario è complesso e si intrecciano molteplici concause: mezzi e persone hanno entrambi un peso che si è fortemente polarizzato verso il consumatore nell'epoca moderna. La trasformazione, iniziata ancora prima di internet, ha visto l'asse del potere nella relazione tra mezzi e persone spostarsi dalla fonte al ricevente: per questioni tecnologiche e per cambi di stili di vita l'offerta si è moltiplicata e si è avvicinata alla concorrenza perfetta.

Il web è stato un acceleratore di questo cambiamento che porta le persone in un ambito di maggiore autonomia e potere (empowerment) grazie alla crescita enorme delle risorse a loro in capo: più risorse per agire (benessere, salute, longevità), per pensare (istruzione, informazione, scambi) e per relazionarsi (più mobilità, più interconnessioni).

Il secondo stereotipo da smentire è che Internet è solamente una cosa che utilizzano i giovani, i cosiddetti millenials. Il gap intergenerazionale sul mondo digitale, lo dimostrano le evidenze emerse dalle ricerche Gfk Eurisko, si sta erodendo.

Quali sono le ricadute della disintermediazione?

Non ci sono confini, muri e barriere di accesso: le persone sono più curiose e il cambiamento e la mobilità diventano regola nella società del rischio dove aumentano le incertezze, le paure e le aspettative di prestazione che si leggono in un trend negativo dell'indice di benessere e soddisfazione personale (IBS). Come disse Robert Kennedy nel suo discorso all'università del Kansas: «Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del PIL».

Oltre a questo, la crescita delle risorse porta inoltre con sé una crisi delle dimensioni e delle istituzioni sovraindividuali: così come politica e religione hanno perso autorevolezza, anche le aziende si trovano ad agire in un contesto dove diminuiscono i consumatori fedeli alla marca. Si assiste alla fine delle rendite di posizione e all'inversione di alcuni miti del consumo: crolla il mito che identifica prezzo uguale a qualità e quello della storia e dell'autorevolezza dei brand, mentre nasce il mito dell'acquisto smart, delle startup e dell'innovazione che parte dal basso.

Come reagire per emergere da questo contesto così complesso? La chiave di successo del brand si basa una nuova reintermediazione per costruire una relazione di fiducia con i consumatori in ottica di coinvolgimento e innovazione.

Letture consigliate:

Francesco Alberoni, Movimento e istituzione. Come nascono i partiti, le chiese, le nazioni e le civiltà, edizioni Sonzogno collana Saggi, 2014.

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