Ho un disturbo da alimentazione incontrollata o mangio solo troppo?

Mangio tanto o ho un disturbo alimentare da approfondire?

Come distinguere un episodio di binge eating dalla semplice sovralimentazione?


Capita a tutti di mangiare più di quanto effettivamente necessario per saziarsi, basti pensare agli eventi sociali, aperitivi, cene, inviti a casa di persone o ancor di più a cerimonie e feste comandate dove il cibo è vissuto come un aggregante sociale e un utile mezzo di condivisione e convivialità. 


Allora ci deve essere un modo per fare chiarezza sulla distinzione tra evento patologico e il semplice mangiare più del dovuto, se di fatto è abbastanza frequente e socialmente accettato esagerare con il cibo. Chiaramente mangiare tanto al cenone di capodanno o darci sotto alla tavolata natalizia non è da considerarsi patologico.


Per parlare di disturbo da alimentazione incontrollata o binge eating si devono soddisfare dei requisiti specifici che vanno monitorati nel tempo, non basta mangiare troppo o sentirsi troppo pieni una sola volta o sporadicamente.


L’episodio singolo di abbuffata in sé non fa il disturbo, tuttavia ci sono dei parametri che ci permettono di operare la distinzione tra abbuffata e il semplice mangiare troppo.


Innanzitutto per parlare di “abbuffata” deve essere soddisfatta la condizione di aver mangiato una quantità di cibo superiore a quella attesa, mediamente consumata dalla maggior parte delle persone in circostanze simili e in una unità temporale determinata. In questo modo escludiamo gli eventi dove generalmente la gente usa mangiare tanto, come per esempio ad una festa, e andiamo a considerare il tempo che la persona impiega per consumare una certa quantità di cibo. Mangiare quattro etti di pasta in un’ora o in due giorni ha chiaramente un valore diverso.


Ma quando si può dire che il cibo è troppo? Si stimano le quantità sulla base della media consumata dalla maggior parte delle persone, ad esempio più di mezzo chilo di gelato, più di quattro barrette di cioccolato e più di 5 frutti di grandi dimensioni consumati in un arco temporale inferiore a due ore possono far rientrare il nostro comportamento alimentare nella categoria di abbuffata. Anche qui non si può fare una generalizzazione: una persona molto sportiva che consuma tantissima energia a causa di uno stile di vita attivo chiaramente avrà un fabbisogno completamente diverso da un’altra persona sedentaria e con caratteristiche fisiche diverse.


Però non basta semplicemente dare una stima della quantità di cibo consumata in una certa unità temporale per definire una abbuffata. Si deve considerare un indice significativo che è anche il più interessante, che ci entrare nel vivo del disturbo di binge eating: la perdita del controllo, che consiste nell’incapacità a fermarsi. Ciò che riferiscono le persone con episodi di abbuffata è proprio la grande difficoltà a porre fine al comportamento alimentare in atto, nonostante non sia desiderato.


Si può allora parlare di quattro tipi di situazioni a seconda della presenza o meno delle due variabili: quantità di cibo e controllo. Se la quantità di cibo non è considerata eccessiva secondo le caratteristiche della persona e della situazione, si può parlare di abbuffata soggettivamente percepita, in quanto è la persona a viverla in questo modo e sentire di mangiare troppo, anche se non è riconosciuto dagli altri. Quando non è presente la variabile della mancanza di controllo, ancora una volta non si può parlare di binge eating ma solo di sovralimentazione che è decisa intenzionalmente dal soggetto, senza che questo sperimenti un disagio legato al non saper smettere di mangiare.


Ricapitolando si parla di binge eating quando la persona ingerisce velocemente una grande quantità di cibo, decisa convenzionalmente sulla base della media di cibo ingerita dalla maggior parte della popolazione a parità di condizioni e caratteristiche, in un arco temporale ristretto, di solito inferiore alle due ore.

Inoltre il soggetto sperimenta la perdita del controllo, variabile che demarca nettamente la sovralimentazione dall’abbuffata.


Per parlare di disturbo di binge eating vero e proprio non si deve sperimentare un episodio sporadico di abbuffata, ma farne esperienza almeno una volta a settimana per tre mesi.

La persona mangia molto più velocemente della media fino a sentirsi eccessivamente piena, anche quando non c’è una fame fisica e in assenza degli stimoli a essa legati. Il comportamento si mette in atto generalmente da soli per la vergogna di fare qualcosa di sbagliato e la paura di essere giudicati dagli altri. Dopo l’abbuffata il soggetto si sente molto in colpa, depresso, avvilito e disgustato e questi stati d’animo rinforzano il comportamento e tendono a perpetuare il disturbo.


È importante precisare che per parlare di disturbo di binge eating non devono essere presenti condotte compensatorie che servono a controllare il peso, come l’assunzione di lassativi, diuretici, digiuno, vomito o eccessivo esercizio fisico. In questo caso infatti, se sono presenti abbuffate con condotte successive di questo tipo si diagnostica il disturbo di bulimia. La differenza tra binge eating e bulimia sta proprio nei comportamenti volti al controllo del peso corporeo che sottendono una grande preoccupazione in questa area, su cui solitamente si concentrano le terapie cognitivo comportamentali. Il focus che viene adottato dalla terapia CBT è la riduzione delle restrizioni alimentari, adottate dal soggetto per l’eccessiva preoccupazione circa il peso corporeo e la forma fisica. Si suppone che sia proprio il tentativo di controllare il peso a portare a diete molto restrittive, causa di comportamenti di binge eating con successiva compensazione.


Il quadro delineato mette chiaramente in evidenza la differenza che intercorre tra episodio di abbuffata o binge eating, sovralimentazione e le sottili differenze con l’abbuffata soggettivamente percepita, in cui viene soddisfatta soltanto la variabile della perdita del controllo ma non c’è un oggettivo introito eccessivo di calorie.

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