Quando la creatività passa dal vocabolario

La lezione di Paolo Iabichino ha la portata di andare a minare quanto appreso in precedenza, introducendo al contempo un punto di vista completamente nuovo attraverso cui guardare le cose, e di conseguenza di fare comunicazione.

La lezione di Paolo Iabichino ha la portata di andare a minare quanto appreso in precedenza, introducendo al contempo un punto di vista completamente nuovo attraverso cui guardare le cose, e di conseguenza di fare comunicazione. Si tratta di un allargamento prospettico che passa innanzitutto da una scelta linguistica nuova: bonificare i termini del marketing tradizionali come tramite per la creatività. Alla luce di questo si calibrano bene le parole così da parlare di pubblico, e non di target, di fedeltà al posto di fidelizzazione. L'invito di Iabichino è chiaro fin da subito: ignorare le cose, poche, che si conoscono, e utilizzare le competenze con una sensibilità diversa affinché si possa migliorare, attraverso questo, anche l'aspetto progettuale. Come nel gioco di Taboo lo sforzo richiesto è quello a dannarsi per cambiare il proprio vocabolario, di ricercare termini nuovi, o per meglio dire, riutilizzare parole della vita quotidiana, ma che perfettamente ricalcano per significato quelli introdotti dal marketing. Lo scopo di questo lavoro? Non solo si comprende, ma diventa desiderabile nel momento in cui si osservano prodotti come "Padre" di Wind o Breathless Choir di Philips. https://youtu.be/3WOJJ7NMJ80

Con questo non si vuole certo sminuire il lavoro di una delle più geniali agenzie di comunicazione ad un semplice esercizio linguistico, ma sottolineare come sia necessaria al lavoro un'attenta cura al reale. Per sua stessa natura, fin dalla nascita negli anni '50, la figura del creativo pubblicitario si pone in costante cambiamento, si pensi ad esempio alla novità introdotta dai social network. Storia e innovazioni tecnologiche vengono colte senza per questo modificare le radici profonde di questo mestiere, che oggi, come ieri, continua a narrare servizi che di per sé, a ben vedere, potrebbero anche farne a meno, in un percorso che produce applauso, che è consenso, e di conseguenza produce profitto. Per fare questo I creativi pubblicitari più attenti riescono a capire la realtà cogliendola dall'alto come un drone per potersi indirizzare al consumer insight, il bisogno del consumatore. Come si caratterizza questo bisogno nel periodo nel quale viviamo?

Ci troviamo in un mercato dominato da internet, non più inteso come un media, ma un vero e proprio habitat davanti a cui Davide Carter scriverà:" The 4p are out, the 4 e are in", andando a sostituire quei famosi quattro punti del marketing mix diffusi da Kotler. Anche in questo caso quello che si mette in atto non è nient'altro che un adeguamento linguistico che trae spunto dall'osservazione della realtà dei processi compiuti dalle marche. Come si fa a non chiedersi allora come mai un brand leader mondiale per agende decide di aprire un bar? La risposta è la possibilità di creare un luogo nel quale i consumatori possano rivivere l'esperienza che nell'acquisto li riempie. La P di product diventa così E di esperience, perché non si limita a quello che materialmente è, ma coinvolge attorno a sé un mondo narrativo unico che quando funziona veicola un'esperienza. Quello che il consumatore vive dell'oggetto va al di là del prezzo di questo, ponendo il suo valore in quanto per lui è percepito: il P-rice si declina così in uno scambio assumendo valore di E-xchange. Allo stesso modo degli altri anche il Placement, il terzo dei punti di Kotler, perde forse di valenza in un mondo dove ciò che vogliamo può, e forse deve, essere raggiunto ovunque si desideri. Il luogo del prodotto diventa così un non luogo, è ovunque: Everywhere. L'ultima P è forse quella che in questo processo linguistico maggiormente richiede dell'interazione del compratore. La promotion quindi viene sostituita da una E, che incarna il valore che un prodotto può assumere per chi ne fa uso. Promozione come comunicazione di qualcosa che ha davvero valore per noi, e nei confronti della quale assumiamo ruolo di Evangelist.

La prospettiva in gioco è alta, e prevede un allargamento a macchia d'olio del punto di vista, così da permettersi da prendere, in alcuni casi, parte a una tensione culturale, che dal territorio di pertinenza ribadisca, non solo il posizionamento, ma un riposizionamento, ossia una presa di posizione nei confronti della realtà stessa. Per concludere si potrebbe sintetizzare, riutilizzando una frase dello stesso docente, Paolo Iabichino pensa che il lavoro del creativo pubblicitario sarebbe migliore se non si agisse nell'ottica di un guadagno ma di un valore, dimenticandosi quanto si conosce e osservando piuttosto quanto sta accadendo.

Commenti

Devi effettuare il login per poter commentare