Ingannevole è la pubblicità più di ogni cosa?

Tutti i dizionari della lingua italiana alla voce del verbo "ingannare" recitano più o meno così: indurre in errore, deludere, eludere; rendere accettabile, con qualche artificio, cosa altrimenti molesta. Con soggetto di persona include spesso l'idea della frode, della malizia.

Tutti i dizionari della lingua italiana alla voce del verbo "ingannare" recitano più o meno così: indurre in errore, deludere, eludere; rendere accettabile, con qualche artificio, cosa altrimenti molesta. Con soggetto di persona include spesso l'idea della frode, della malizia.

Si dice spesso che sia il cuore a essere ingannevole ma siamo davvero sicuri che sia così? Il concetto di ingannevolezza è talmente vasto e declinabile a molteplici aspetti dell'esistenza umana che la risposta è no.

Il settore pubblicitario è un terreno fertile per la sua attuazione e il nostro ordinamento giuridico delinea la pubblicità ingannevole nell'articolo 20 del decreto legislativo 206/2005 in tal modo: "qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente".
Condizionare il comportamento del consumatore e ledere un concorrente sembra essere, dunque, il binario lungo il quale cammina la normativa vigente.

Se ogni forma di pubblicità ha l'obiettivo di provocare un'azione o una reazione da parte di un destinatario, in cosa va ricercata la differenza tra una pubblicità "corretta" e una ingannevole?
L'inganno non dovrebbe mai essere manifesto. La mitologia greca è ricca di storie di inganni che hanno coinvolto le divinità, in primo luogo il sommo Zeus, che amava trasformarsi e camuffarsi. Fu Prometeo l'artefice del grande inganno perché nascose le carni immangiabili di un bue sotto uno strato di grasso e riservò agli uomini la parte migliore, pagandone le conseguenze.
L'inganno racchiude di per sé astuzia e un velato mistero che ne consente l'efficacia. Ecco, dunque, che va ricercato in profondità, nei dettagli, nella formulazione, del messaggio, nel detto ma soprattutto nel non detto.

Al di là del mito e tornando ai tempi di oggi e alla pubblicità, per i beni di largo consumo come possono essere quelli alimentari, la trasparenza delle informazioni diviene sempre più importante e il linguaggio utilizzato nelle varie forme pubblicitarie assume un ruolo determinante.
Spesso l'Autorità Garante della concorrenza e del mercato ravvisa fattispecie di pubblicità ingannevole proprio sulla base di messaggi che considera manifestamente ingannevoli.


Tutti i dizionari della lingua italiana alla voce del verbo "ingannare" recitano più o meno così: indurre in errore, deludere, eludere; rendere accettabile, con qualche artificio, cosa altrimenti molesta. Con soggetto di persona include spesso l'idea della frode, della malizia.
Si dice spesso che sia il cuore a essere ingannevole ma siamo davvero sicuri che sia così? Il concetto di ingannevolezza è talmente vasto e declinabile a molteplici aspetti dell'esistenza umana che la risposta è no.
Il settore pubblicitario è un terreno fertile per la sua attuazione e il nostro ordinamento giuridico delinea la pubblicità ingannevole nell'articolo 20 del decreto legislativo 206/2005 in tal modo: "qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente".
Condizionare il comportamento del consumatore e ledere un concorrente sembra essere, dunque, il binario lungo il quale cammina la normativa vigente.
Se ogni forma di pubblicità ha l'obiettivo di provocare un'azione o una reazione da parte di un destinatario, in cosa va ricercata la differenza tra una pubblicità "corretta" e una ingannevole?
L'inganno non dovrebbe mai essere manifesto. La mitologia greca è ricca di storie di inganni che hanno coinvolto le divinità, in primo luogo il sommo Zeus, che amava trasformarsi e camuffarsi. Fu Prometeo l'artefice del grande inganno perché nascose le carni immangiabili di un bue sotto uno strato di grasso e riservò agli uomini la parte migliore, pagandone le conseguenze.

L'inganno racchiude di per sé astuzia e un velato mistero che ne consente l'efficacia. Ecco, dunque, che va ricercato in profondità, nei dettagli, nella formulazione, del messaggio, nel detto ma soprattutto nel non detto.
Al di là del mito e tornando ai tempi di oggi e alla pubblicità, per i beni di largo consumo come possono essere quelli alimentari, la trasparenza delle informazioni diviene sempre più importante e il linguaggio utilizzato nelle varie forme pubblicitarie assume un ruolo determinante.

Spesso l'Autorità Garante della concorrenza e del mercato ravvisa fattispecie di pubblicità ingannevole proprio sulla base di messaggi che considera manifestamente ingannevoli.

Commenti

Devi effettuare il login per poter commentare