GENITORI E FIGLI: COME AFFRONTARE IL DISTACCO?

“Se non so chi sono, come faccio a distinguere me stesso e l’altro?”


Nella cultura degli Indiani d’America, saggiamente veniva detto: “I genitori possono regalare ai figli due cose: Le Radici e le Ali”.

Le radici dell’appartenenza, le Ali dell’autonomia.

E per contribuire all’autonomia dei figli i genitori devono essere un “faro”, una luce, che li aiuta a vedere le varie direzioni in cui possono andare e fare esperienza.

 

Il momento del distacco genitori-figli appartiene a diverse fasi della vita ed è più frequente di quanto si possa pensare.

Questo crea una condizione psicologica che rende anche gli adulti, così come i bambini, facili prede dei vortici emozionali, spesso responsabili di azioni, atteggiamenti o comportamenti non adottati su base razionale né tantomeno dettati dalla capacità critica quali amore, preoccupazione, ansia, tristezza, malinconia che tendono a far sentire di più la “mancanza”, rendendo difficile i primi tempi in cui si vive la separazione.

Dopo i primi mesi di vita, caratterizzati dalla totale dipendenza e fusione con la mamma, il bambino è ormai abbastanza maturo per concepire le prime affermazioni di un Sé, separato ed autonomo da quello materno: “Io qui, mamma lì”.

Affinché il Sé del bambino possa svilupparsi, è necessario che l’ambiente lo incoraggi, ne supporti e ne rispecchi le espressioni (parlare, camminare e tutte le altre manifestazioni di autonomia) fornendo anche una quantità di “frustrazione” ottimale per rendere meno illusoria e più reale la sua visione del mondo.

“IL Sé SI SVILUPPA CON L’ESERCIZIO DEL Sé”

[L. Marchino]




Già dal quinto al ventiquattresimo mese di vita, il bambino attraversa un processo di separazione-individuazione che lo conduce ad acquisire una propria autonomia fino a raggiungere una chiara distinzione fra Sé e gli altri e a mantenere legami con essi indipendentemente dai propri bisogni.

Il bambino, dopo la fase di attaccamento, ha un processo graduale, si allontana un po’, in un dato tempo di autonomia, e si gira cercando lo sguardo della mamma. In questa fase, è molto importante che la madre, o la figura familiare di riferimento, dia una risposta positiva ed incoraggiante. In questo modo il bambino ne trarrà beneficio da questa attività di formazione ed apprendimento.

Pertanto, se lo sguardo è di sostegno, allora il bambino interiorizza quella cosa e riparte finché non avrà esaurito le sue risorse e tornerà dalla mamma per prendersi delle coccole.

Ma se in quel passaggio la madre, o la figura familiare di riferimento, non è in grado di accogliere la nascente autonomia del bambino con gioia e positività ed invece di sostenerlo lo sgrida, lo spaventa (es: “Oddio, No! Ti farai male”; “Che stai facendo?”; ecc) lo minaccia (Es: “Se ti allontani ancora la mamma non ti porta più al parco”; ecc), lo punisce privandolo del suo affetto, il bambino farà fatica a staccarsi da lei e ad avere una propria identità ben distinta.

Ma quali possono essere i motivi per cui la madre non sostiene la separazione?

Può trattarsi di una madre indaffarata che ha bisogno di avere il figlio sempre “sotto gli occhi”; di una madre ansiosa che ha paura che al piccolo possa accadere qualcosa; di una madre che vuole insegnare al bambino a stare in un una zona dove sia controllabile; di una madre che, quando i figli più grande si allontanano, ha bisogno di tenere vicino a sé il più piccolo per non sentire il senso della solitudine e dell’abbandono.

Donne che provano una profonda frustrazione nel vedere che il bambino ha sempre meno “bisogno della loro presenza” e si allontana. Questo potrebbe addirittura portarla a non sentirsi più amata e sicura.

Infine, può trattarsi di una madre irritata dall’autonomia del figlio, perché la percepisce come una sfida al proprio potere su di lui.

In tutti questi casi la madre trasmette al bambino, in modo più o meno consapevole ed esplicito, un messaggio di inibizione alla separazione, all’iniziativa e all’avventura indipendente.

Questa risposta negativa, che il bambino riceve dalla mamma ogni volta che cerca di differenziarsi da lei (allontanandosi appena ne ha la possibilità motoria, esprimendo idee, ecc), lo porta, pur di farsi accettare, ad interiorizzare l’emozione della madre, facendola sua e sviluppando un Falso Sé, a rimuovere il proprio bisogno di autonomia e con essa rimuovere anche l’aggressività (intesa come spinta, forza, energia che lo porta ad agire e a muoversi nel mondo) necessaria per attuarla.

Ma di tutta questa energia che ne sarà?

Per non “ascoltare” il corpo, verrà a crearsi una sconnessione da quelle spinte energetiche ed emotive verso l’autonomia sviluppando una forte tensione a livello della nuca. Il bambino potrà accedere alle spinte vitali solo in funzione della volontà della mamma.

Dentro il registro della mamma potrà fare molte cose e sperimentare molte cose purché stiano dentro il recinto definito dalla mamma (“Cordone ombelicale”).

 

Ma da grande, come sarà questo bambino?

Da adulto farà fatica a percepirsi, perché non avrà una propria identità: “Se non so chi sono, come faccio a distinguere me stesso e l’altro?”

La paura della spinta aggressiva si struttura nella mascella, nelle labbra (tensioni di trattenimento) e nell'ano. Avrà piedi e mani piccole, proprio perché non ha fatto esperienza, una lassità del corpo e una tensione che si svilupperà nei muscoli del collo e della nuca che impedirà al cervello di conoscere che cosa avviene nel corpo (perdendone il contatto) e a riconoscere le proprie emozioni.

L’emozione dominante sarà la rabbia, esplosiva, ed un forte senso di colpa e si sentirà sbagliato rispetto all’altro.

 

Per prendere consapevolezza della dinamica mentale e psicologico ma anche cosa accade al corpo è importante portare l’attenzione al proprio corpo e al respiro partendo dai piedi (recuperando la percezione dei piedi e delle gambe: “come sono i nostri piedi?”; “Come poggiano per terra?”; “Come ci sorreggono le nostre gambe?”) e dal radicamento.

Il radicamento è un punto centrale nella struttura vitale di qualunque essere vivente dalle piante in poi.

Ogni seme quando germoglia mette le radici e poi le foglie e le nostre radici nascono nella pancia della mamma poi nelle sue braccia e in quelle della famiglia e poi a terra.

Quando incominciamo a percepirci e riconoscerci, è lì che avviene il passaggio di poter incontrare una parte di noi che c’è sempre stata ma che non sapevamo di essere.

 

Erika Aprile

(Attrice e Counselor a mediazione teatrale)

 


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