MIO FIGLIO ANDRÀ AL NIDO. E ORA? Come affrontare l'ansia da separazione

Distacco: il cambiamento che diventa opportunità di crescita per la famiglia- Dott.ssa Gabriella Rea, psicologa e psicoterapeuta

Quando nasce un bimbo succede qualcosa di straordinario, una famiglia organizza i suoi tempi e i suoi spazi intorno a lui/lei ristrutturando i propri equilibri precedenti. Così, nasce un nuovo equilibrio che man mano si stabilizza. Tutti trovano il proprio modo di gestire le cose ed il nuovo arrivato riceve le cure necessarie. Poi succede qualcosa di ancora più straordinario: la vita va avanti, il piccolo cresce ed arriva il momento della prima separazione. Un momento critico per una famiglia, in particolar modo per la figura primaria di attaccamento (il caregiver, che nella maggior parte dei casi è la madre). Quel momento arriverà, possiamo opporci, possiamo rimandarlo, possiamo evitarlo per un po’ di tempo ma inevitabilmente arriverà. Allora è importante prepararsi. Tante emozioni si fanno strada dentro e rischiano di ostacolare la possibilità di vivere con serenità la separazione, e di farla vivere con altrettanta tranquillità ai propri figli.

Ma facciamo un passo indietro. Cosa è successo prima? Si è creato un legame di attaccamento tra il bambino e chi se ne prende cura, un legame che ha lo scopo di far costruire una sicurezza interna al bambino, grazie ad un legame di fiducia e vicinanza con il caregiver. Il sistema di attaccamento si crea nel corso del primo anno di età e va a stabilizzarsi proprio al termine di questo periodo, quando è possibile iniziare a vedere la qualità del legame di attaccamento. Molto spesso sento dire che se un bambino piange quando la mamma si allontana allora “è troppo attaccato e non va bene”: non è affatto così. Il pianto di un bimbo che vede la madre andare via è normale, sano e segno di un attaccamento buono e sicuro. Attraverso quel pianto il piccolo sta dicendo che la mamma gli mancherà, che  è triste per il fatto che lo sta lasciando e che ha paura di non rivederla. Così come la reazioni al suo ritorno, diverse da bambino a bambino, indicano la gioia nel rivedere la mamma. Sappiamo, quindi, che va bene se il bambino piange nel momento del distacco. Perché allora da genitori consideriamo questo pianto sbagliato e vorremmo che non si manifestasse mai? Perché restare in contatto con il pianto del bambino ci obbliga ad entrare in contatto con le emozioni che noi stessi proviamo nel momento della separazione.


Un genitore, una mamma o un papà, che abbia dedicato il suo tempo al figlio fin dalla nascita si ritrova a doverlo lasciare (per tornare a lavoro, perché inizia la scuola o per qualsiasi altro motivo) e questo non è un evento emotivamente indifferente, anzi porta con sé un grande carico di paure, tristezze, sensi di colpa: 

“mio figlio starà bene senza di me?”, 

“sono un pessimo genitore, dovrei restare con mio figlio”,

"e se poi mi chiama e non ci sono, come farà senza di me?”, 

“ho bisogno di tempo per me e questo mi fa sentire in colpa”, 

“e se poi stesse bene anche senza di me? Ho paura che poi non mi vorrà più al mio ritorno”, 

“quando lo lascio mi sento libero/a, questo mi fa sentire in colpa”. 


Questi sono solo alcuni esempi dei pensieri che possono affacciarsi alla mente di un genitore nel momento delle prime separazioni. Non è facile restare in contatto con queste emozioni eppure è necessario. È necessario perché solo elaborandole dentro di sé si diventerà in grado di gestire quella separazione con serenità, ricordando a se stessi che tutto quello che è stato fatto fino a quel momento ha preparato il bambino a tollerare la separazione, che se la mamma e il papà sentono che va bene essere tristi quando ci si separa allora il pianto del bambino sarà vissuto da tutti come un’espressione emotiva sana, durerà pochi minuti ed il bambino stesso potrà trascorrere con serenità le ore di distacco perché imparerà che poi “la mamma torna” e sarà il momento di stare ancora insieme.

È possibile, quindi, vivere con serenità il distacco. Serenità che non deriva, e non può derivare, dalla negazione delle emozioni; serenità che è il risultato dell’accoglienza delle emozioni proprie e del proprio bambino. Ricordiamoci, da genitori, che lasciare i bambini per far sì che le altre attività possano andare avanti non è un errore, non comporterà malessere per i nostri figli, non rischiamo di renderli “bambini problematici” perché abbiamo dovuto separarci da loro. Certo, ci sono situazioni in cui problemi di attaccamento possono dar vita a dei disturbi nel corso dello sviluppo, ma parliamo di situazioni estreme in cui il bambino, e la famiglia, sono esposti a condizioni gravi di deprivazione e disagio. Casi estremi e particolari in cui le reazioni del bambino saranno di difesa e distacco fisico ed emotivo in risposta alla sperimentazione continua di angoscia abbandonica e assenza di punti di riferimento stabili.  In famiglie che non sono esposte a tali difficoltà, in cui i problemi di separazione derivano da piccoli nodi emotivi non elaborati, basterà sciogliere quei nodi per sanare le difficoltà di separazione e diventare punto di riferimento per lo sviluppo sano dei bambini e dei genitori nel loro ruolo, che potranno trasformare un momento critico di cambiamento in opportunità di crescita per tutta la famiglia.

 

Dott.ssa Gabriella Rea, psicologa e psicoterapeuta

 ad orientamento gestaltico integrato.


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