COME SI GESTISCONO LE TEMPESTE EMOTIVE DEI FIGLI?

CAPRICCI: quando un bisogno non accolto si trasforma in un circolo infinito di rabbia e incomprensione di Gabriella Rea

Sapete che cercando la parola capriccio sul dizionario si trovano due definizioni?

 La prima, quella che la maggior parte di noi si aspetterebbe di leggere, definisce il capriccio come voglia o idee perseguita con ostinazione per un tempo solitamente breve.

 La seconda lo definisce come un fatto strano, inatteso e incomprensibile. Soffermiamoci su quest’ultima definizione e proviamo a fare uno sforzo di concentrazione su ciò che da genitori pensiamo e proviamo di fronte ad un comportamento di nostro figlio considerato essere un capriccio. 

Ci chiediamo “ma perché fa cosi?”, “ma cosa ci trova di bello in questa cosa che vuole a tutti i costi?” oppure pensiamo e diciamo “quando fai così io proprio non ti capisco!”. 

Ci troviamo di fronte alla voglia di un bambino, voglia incomprensibile se vista attraverso gli schemi di un adulto e criticabile se valutata secondo le sue regole. Valutare come “inadeguato” il comportamento del bambino si accompagna a sentimenti di frustrazione, rabbia, stanchezza che spesso vengono portati fuori attraverso rimproveri autoritaristici che non lasciano alcuno spazio alla comprensione, né per l’adulto né per il bambino.

Ricapitolando: noi non capiamo il nostro bambino e cerchiamo di modificare un suo comportamento per noi inadeguato senza spiegargli nulla e, di conseguenza, il nostro bambino prova rabbia per questo divieto incomprensibile. Rabbia che si incastra con la nostra frustrazione provocandoci.. rabbia! Cosa accadrebbe invece se provassimo a guardare la situazione attraverso gli occhi dei bambini, provando a comprendere la motivazione che è alla base di quella “richiesta strana”? Forse potremmo comprendere il suo bisogno e partire da questo per spiegare che una certa cosa in quel momento non si può fare ma ce n’è un’altra che possiamo fare insieme.

Dire semplicemente “NO” è controproducente, attiva una rabbia ancora più ostinata da parte del piccolo e questo non fa che alimentare la frustrazione del genitore che si sentirà a sua volta non capito. A pensarci bene, ci sono due vissuti molto simili da entrambi i lati: un bambino che si sente non capito e prova rabbia, un adulto che si sente non capito e prova rabbia. Tra i due, però, solo l’adulto ha a disposizione degli strumenti, emotivi e cognitivi, per trasformare la situazione e condurre la relazione verso una comprensione reciproca che potrà portare il sereno dopo la tempesta.

Certo, non è facile. Sentirsi dei genitori inadeguati tesse un velo che si pone dinanzi ai nostri occhi e non ci permette di essere presenti davvero nella realtà di quello che sta accadendo, ci impedisce di guardare al nostro bambino con un ascolto reale e ci imprigiona all’interno di un’idea precostituita di lui (è troppo capriccioso, vuole averla sempre vinta, è il classico dispettoso, è sempre più testardo e così via). Ma se fosse proprio il nostro atteggiamento a renderlo più ostinato? E se il nostro atteggiamento fosse dettato da un giudicarci dei “cattivi genitori” attribuendoci delle colpe per i comportamenti “capricciosi” dei nostri bambini? Iniziamo ad accettare che da genitori sbagliamo, che ci sono delle cose che avremmo potuto fare diversamente e altre che abbiamo fatto bene, che in molti casi possiamo aver bisogno di aiuto e che mille conoscenze teoriche non possono tramutarsi automaticamente in comportamenti privi di momenti critici. Possiamo sbagliare, questo non ci rende pessimi genitori. Chiederci di volta in volta in cosa stiamo sbagliando e cosa potremmo fare meglio può essere la strada giusta per costruire una relazione fatta di comprensione e accoglienza reciproca, che non esclude regole e disciplina ma le rende accettabili tramutandole in basi solide per la crescita sana del nostro bambino, che sentirà di avere il giusto contenimento per portar fuori il proprio potenziale. Voglio concludere con queste parole di Elisabeth Pantley, affinché possano essere un promemoria da recu perare quando ci troviamo di fronte all’ostinazione di nostro figlio e sentiamo di non farcela:

Non dimenticate che vostro figlio è un bambino e ha ancora molto da imparare sulla vita. Non sta tentando di mettervi il bastone tra le ruote né di farvi arrabbiare, e non ha escogitato un piano magistrale per farvi perdere la testa. Si sta soltanto facendo strada nella vita, immerso nel suo piccolo mondo ridente.”


Gabriella Rea,

psicologa e piscoterapeuta

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