ATTI DI BULLISMO di Erika Aprile

Le varie forme di violenza...

Nel web ci sono molti articoli che trattano questo tema; alcuni anche in maniera molto approfondita.

Io vorrei parlarvene senza parlarvene ponendo lo sguardo da un’altra prospettiva. Come se fossimo a teatro e stessimo guardando un attore o un’attrice recitare un monologo.

Si apre il sipario.

Si spengono le luci in sala.

Dal dietro le quinte si ode “chi è di scena” ed ecco… un respiro… due respiri… tre respiri e si sale sul palco.

Azione…

 

Mi chiamo Giancarlo Catino

(monologo Paola Cortellesi)

 

Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia!

Ho 6 anni e oggi è il mio primo giorno di scuola!

Ho conosciuto subito la popolazione degli unni: sono i miei compagni di classe! nel giro di tre minuti abbiamo urlato a squarciagola la lettera E.

“eeeeeeeehhh!!!!!!”

“Giochiamo a buttasse de sotto dalla finestra?” (io mi so buttato loro no)

“eeeeeeeehhh!!!!!!”

“Giochiamo ad ammazzare gli zombi e le femmine fanno gli zombi?”

“eeeeeeeehhh!!!!!!”

Poi ho preso 3 ceffoni, 6 sgambetti e 1 cazzottone in testa, è per questo che mi sono ritrovato al primo banco.

Andrea Rozzi, un compagnuccio scalmanato, mi ha subito ribattezzato “bersaglio mobile” e la mia schiena è diventata il campo di atterraggio di aerei di carta, bucce di banana e matite spezzate… (ride) mi tirano addosso di tutto!

All’ultima ora mi è arrivato in testa pure un compasso!

E’ un giorno che non dimenticherò mai… la mia prima cicatrice in fronte!

 

Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia.

I miei compagnucci nel corso degli anni hanno declinato il mio nome per scherzo in ogni modo: “Giancappio, Giancavolo, Giancacca e Giancojòne”.

Poi si sono sbizzarriti anche col cognome che ha ispirato una canzoncina mitica che mi cantano sempre a ricreazione: “Catino cretino, sei un quattrocchi e c’hai il pisellino”

Che spasso!

Andrea Rozzi per farmi uno scherzo ha sparso la voce che avevo i pidocchi, che matto!

Oh, ci credete che da allora nessuno mi ha più invitato a una festa?

Adesso oltre a quattrocchi mi chiamano pure pidocchioso!

Mio cugino Luca, che fa la quinta, a ricreazione li ha sentiti e dice che non dovrebbero chiamarmi così… io li lascio fare perché penso che prima o poi smetteranno.

 

Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia.

Ho 11 anni e sto alle medie!

Pure i nuovi compagni di scuola sono una banda di buontemponi!

Sono stato fortunato perché in classe mia ho trovato anche Andrea Rozzi cioè così almeno conosco qualcuno!

Sono andato un po’ su di peso e così hanno cominciato a chiamarmi con dei nuovi simpatici appellativi: suppli’, bombolone, strofinaccio, cicciottone, carta da parati, quattrocchi e zinnacchione, puzza di piedi, cacone, calcinaccio, sterco, pippa, sega, cicciabomba, palla e straccio.

Non è che mi fa piacere ma pazienza, se penso che Rinaldi lo chiamano vomito, a me è andata di lusso.

L’altro giorno mi hanno buttato dentro a un cassonetto della monnezza! sono riuscito fuori tutto sporco de sugo e avanzi.

Mio cugino Luca che è in terza mi ha visto, io per la vergogna mi sono accucciato nel cassonetto e tutti hanno riso.

 

Come ci torno a scuola domani…

 

Certe sere mi affaccio dalla finestra e mi chiedo come sarebbe volare via e sparire per sempre…. di sicuro non mi chiamerebbero più sterco…

 

Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia.

Ho 14 anni e ho iniziato il liceo scientifico.

In classe mia ci sono due gruppi…. e poi ci sto io.

Ho capito che la cosa migliore è parlare il meno possibile così non mi vedono.

Invece, che palle, non è servito a niente: mi hanno avvolto nel nastro adesivo, mi hanno bruciato i jeans con l’accendino e mi hanno disegnato un pene sulla fronte col pennarello indelebile.

A causa di questo ultimo avvenimento a casa mia si sono accorti di quello che mi fanno a scuola.

Mia madre ha fatto un sacco di storie, poi mi hanno costretto a parlare con la psicologa perché in quel video su you tube non facevo bella figura.

La verità è che mi vergognavo a parlare con i miei… la verità è che vorrei essere diverso…

Stamattina sono entrato nella palestra di scuola mia e ho puntato il più carogna dei miei compagni.

L’ho guardato fisso negli occhi e ho pensato che volevo sconfiggerlo.

Così l’ho abbracciato… e ho vinto io.

 

Chi di voi, leggendo questo testo, non si è sentito, anche solo in piccola parte, vicino al piccolo Giancarlo Catino?

 

Questo testo mi ha riempito di emozioni proprio perché sono tante le emozioni che ne fanno parte.

C’è la felicità, per il primo giorno di scuola. Conoscere le maestre e i nuovi compagni.

Far parte di un gruppo… anche se questo gruppo lo deride… se questi atteggiamenti nei suoi confronti lo fanno stare male, lui lascia stare… lascia correre… Tanto prima o poi smetteranno….

Prima o poi.

 

La vita ci mette di fronte altri ostacoli.

Non solo la difficoltà di relazionarci e di farci accettare ma anche quella di far accettare il nostro aspetto e spesso accettarlo noi stessi.

Per chi, purtroppo, si scontra con il cambiamento del proprio corpo ed incomincia a prendere dei chili ecco che i nomignoli, appellativi, sono dietro l’angolo.

 

Ma il pensiero è: Come ci torno domani a scuola

 

E’ una frase che fa riflettere rispetto al senso di vergogna che si prova nel tornare nel luogo in cui tutti non ti guardano per “chi sei” ma per “ciò che quel in momento sei”.

Questo dover tornare in un luogo dove tutti ti fanno del male.

 

Poi arrivano quei pensieri, tristi, che non ti fanno dormire la notte.

Non ti fanno mangiare.

Non ti fanno respirare e riesci sono a farti una domanda:

Come sarebbe aprire la finestra e fare un bel volo?

 

Volare via… andare via da questa vita che sta stretta… scomparire… tanto a chi gliene importa.

TANTO A CHI GLIENE IMPORTA

Nessuno sentirebbe la mancanza… nessuno si accorgerebbe di quell’assenza…

 

Allora capisci che l’unico modo per sfuggire a quell’inferno è sparire.

Diventare invisibile.

Stare in silenzio.

Fare il meno rumore… così non si accorgono della tua presenza e nessuno può più farti del male.

Ma è solo una illusione.

E tu ci rimani male perché credevi in quella illusione che è diventata delusione.

 

Ma cosa succede quando la famiglia si accorge che c’è un problema?

Quando il mondo capisce che anche tu esisti?

Quando per la prima volta senti di poter incominciare ad essere padrone della tua vita?

 

Arriva la rabbia.

Una rabbia che sale dalla pancia fino alla testa.

Una rabbia in cui vorresti urlare al mondo “Io ci sono sempre stato, siete voi che non mi avete visto…”

 Una rabbia verso te stesso perché, inconsciamente, pensi che il problema sei tu… perché non sei diverso.

Come se l’essere diversi da quello che si è sia la soluzione giusta.

Ma diverso da cosa?

Perché si deve essere diversi?

Perché non si può essere ciò che si è?

 

E’ fondamentale ascoltare ed osservare i propri figli.

Sentire… percepire anche solo dal loro respiro tutto ciò che gli passa dentro.

Aiutarli a parlare a tirare fuori ciò che sentono attraverso l’esempio.

Siamo noi adulti che dobbiamo aiutarli, attraverso la nostra esperienza, a permettere loro di esprimere le proprie emozioni senza giudicare e senza giudicarsi.

Trovare il momento per la famiglia, per condividere la giornata ma soprattutto per “con-dividere”( ossia dividere con gli altri) il nostro vissuto emozionale.

I segnali, rispetto a qualcosa che non va, ci sono; magari sono quasi impercettibili… ma ci sono.

Come ad esempio i disturbi alimentari, quelli del sonno, il volersi isolare, ecc.

Sono campanelli d’allarme che ti fanno capire che qualcosa, nella vita di tuo/a figlio/a, non va.

 

E’ importante, oggi più che mai, aiutare i propri figli nel cammino verso l’età adulta a conoscere se stessi.

Ad avere la consapevolezza della propria vita perché è questa ad essere in gioco.

Sicuramente l’attività teatrale permette ai nostri figli, ma anche agli adulti, di entrare in contatto con le proprie emozioni e di conoscersi in maniera approfondita senza giudicarsi.

Imparare a dire “io sono questo/a”, “Io vado bene così”.

Grazie al teatro, e alle arti terapie in generale, si arriva ad avere una forza… conoscere il proprio corpo… qual è la propria potenzialità e le proprie risorse che sono infinite.

Attraverso il teatro si possono sperimentare delle situazioni, le emozioni e i diversi ruoli che permettono di “sentire” cosa prova l’altro.

“Il teatro è questo: l’arte di vedere noi stessi, l’arte di vedere noi stessi!”


[Augusto Boal]

 

 

Erika Aprile, Attrice & Counselor a mediazione teatrale

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