Nelle scorse settimane ho ricevuto questo messaggio:
"Come si fa a far capire ad un nanino di 8 anni che A SCUOLA l’esuberanza e la voglia di intervenire e di dire "IO LO SO IO LO SO IO LO SO", viene intepretata come cosa fastidiosa, come cosa che non permette agli altri bambini di esprimersi (e quindi IL NANINO stesso viene letto come un rompiscatole, che non sa seguire le regole e fare quello che gli dicono, per cui non si comporta in modo adeguato alla situazione in cui si trova) ?
Le domande sulla scuola aprono un mondo infinito.
La scuola è una piccola società che richiede delle competenze sociali, appunto. Prima ancora della matematica, della grammatica e dell’inglese, ci sono le capacità si stare in gruppo, di riconoscere l’autorevolezza degli insegnanti, di riconoscere i tempi degli altri, dell’attesa. E poi ancora, il saper posticipare il piacere immediato, impegnarsi in una compito inizialmente faticoso.
Insomma, la scuola è l’ambiente in cui il piccolo bimbo egocentrato, proiettato solo in ciò che gli piace e abituato ad essere al centro dell’attenzione, allena la competenza di essere parte di un gruppo, a cui si richiede di imparare nuove competenze che richiedono investimento e sforzo.
A noi adulti sembra ovvio, semplice, naturale, ma per i bimbi è piuttosto impegnativo.
Quindi la scuola è un ambiente educativo? -------> ssssssssi, ma...
Ovviamente la scuola è un ambiente educativo e gli insegnanti hanno un ruolo straordinariamente importante e di grandissima responsabilità, non solo didattica. Anzi, la didattica esiste solo dopo la "cura" della persona, perché un bimbo che non si sente “a posto” è un bimbo che non è in grado di apprendere.
La mia congiunzione avversativa (ma…) significa semplicemente che la scuola è un luogo in cui i bimbi si allenano, ma le regole sociali vengono apprese a casa.
Mi spiego meglio.
L’aspetto educativo richiede un metodo preciso per raggiungere i risultati di competenza sociale ed è molto più semplice che questa modalità sia applicabile in casa, dove ci sono uno o due adulti, con uno, due , tre figli e dove vi è un’ampia possibilità di far vivere esperienze di vario genere.
A scuola invece la relazione è circa di uno a venti e le possibilità di azione sono molto più vincolate. Insomma , è più semplice spiegare e far rispettare una regola a casa nostra con un bimbo, piuttosto che dentro una classe con 20 pargoli.
Io non ne faccio una questione di ruoli, di giustizia, di doveri, ma semplicemente una questione tecnica e numerica: se facciamo fatica noi a casa con un numero ridotto di tatini, figuriamoci in una situazione superformale con decine di ragazzini urlanti.
Quindi che fare?
Quando in consulenza mi riportano queste situazioni, vi dico come procedo, considerando che in questi podcast tratto le questioni in generale, mentre ogni situazione poi merita un’analisi particolareggiata e super contestualizzata.
- In genere i bimbi non soffrono di disturbi di personalità multipla, e, benché abbiano sicuramente un atteggiamento diverso in contesti diversi, è piuttosto difficile che in classe riservino un comportamento non competente, mentre in casa siano perfetti signori del galateo. Casomai è più facile il contrario: a scuola riconoscono le regole, mentre a casa si trasformano in piccoli mister Hyde. Ne parleremo.
- Raccogliamo quindi le situazioni che vengono sottolineate a scuola, tipo: “Vuole sempre intervenire e fa fatica lasciare lo spazio ai compagni”.
- Riconosciamo gli atteggiamenti simili a casa, tipo: “Quando siamo tutti insieme, non attende che gli altri finiscano di parlare, interrompe, vuole spesso essere al centro dell’attenzione, pretende che gli si risponda subito, anche se siamo impegnati in altre conversazioni. Se siamo al cellulare, apriti cielo!”.
- A questo punto scegliamo una modalità efficace per insegnargli ad attendere , per insegnargli a rispettare i ritmi della conversazione, per insegnargli l’ascolto e l’attesa, per insegnargli quali siano i suoi spazi per esser ascoltato con tutta l’attenzione che si merita (se ne avete bisogno, contattatemi, che ho audiocorso super efficace sull’argomento)
- Lavoriamoci, perché li vediamo tutti i giorni, perché possiamo proporre esperienze utili in ogni momento che passano con noi.
- Già con questi passaggi i nostri bimbi cominciano a sviluppare le competenze richieste e, allenandosi giorno dopo giorno, diventano sempre più abili.
- La casa è la principale palestra di vita, dove si imparano e si sviluppano capacità che poi vengono esportate negli altri contesti. A questo punto vedremo anche dei miglioramenti a scuola.
- Se è possibile, condividiamo la stessa modalità con gli insegnanti, in modo che i piccoli abbiano lo stesso stimolo educativo sia a casa che a scuola, velocizzando in questo modo l’apprendimento. Se gli insegnanti ne hanno la possibilità, facciamo squadra. Se per qualunque motivo questa collaborazione non è percorribile, continuiamo a CASA, che comunque rimane l’ambiente più importante.
È fondamentale intervenire in queste dinamiche sociali soprattutto perché, creature piene di meravigliosa energia, come quella descritta da questa mamma, rischiano di venire etichettate come “rompiscatole”, mettendo in atto una serie di dinamiche poco utili per il bimbo.
Abbiamo già parlato dell’esperimento di Rosenthal, eseguito dallo psicologo americano, in cui si dimostra come le etichette sui bambini abbiano il potere di esercitare su di loro una pressione educativa incredibile, facendoli diventare pian piano coerenti con l’etichetta data. In parole semplici, se ripetiamo loro che sono dei “disturbatori”, loro lo diventano ogni giorno di più.
Se non lo ricordate, scrivetemi che ne riparliamo.
In tutto questo, ricordiamo che i bambini sono nati per imparare, non per sapere.
#Ricordiamo che non è un problema che un bimbo non rispetti le regole sociali, ma è un punto di partenza naturale.
#Ricordiamo che non esistono bambini bravi e bambini non bravi, ma esistono bambini che hanno imparto e bambini che devono ancora imparare.
E #ricordiamo che il nostro ruolo di adulti è quello di identificare le loro giuste “non competenze” per far nascere piantine di nuovi apprendimenti.