Le icone oggi continuano la loro missione di testimonianza nel mondo....

Testimoniare Cristo e Cristo crocifisso

È evidente come l’icona sia rientrata prepotentemente nell’orizzonte della Chiesa cattolica, soprattutto negli ultimi cinquant’anni, dopo una lontananza di diversi secoli. Per oltre mille anni, i primi della storia cristiana, la Chiesa aveva «respirato con due polmoni», per usare un’espressione cara a Giovanni Paolo II. La spiritualità della Chiesa d’Oriente e di quella d’Occidente, pur nelle differenze locali, era complementare e ci si arricchiva vicendevolmente. Allo stesso modo la Chiesa indivisa parlava ovunque lo stesso linguaggio liturgico ed iconografico. Quando un cristiano entrava in una basilica nei primi secoli, e vedeva ovunque sui muri e nell’iconostasi le immagini del Signore Gesù, della Madre di Dio, degli angeli e dei santi, aveva la sensazione di trovarsi già in Paradiso, tutta la Chiesa trionfante e gloriosa si trovava là presente. Poteva dialogare con i santi, invocare la loro intercessione, inchinarsi umilmente davanti all’immagine del Signore e supplicare il suo perdono e la sua misericordia. Il fedele poteva in tal modo fare esperienza diretta della Comunione dei santi, e nel contemplarli si sentiva spronato ad imitarne le virtù e ad intraprendere un cammino di fede più profondo. Così la preghiera dell’assemblea e del sacerdote si univa a quella della corte celeste, degli angeli e dei santi che stanno davanti al trono dell’Altissimo. La Chiesa celebrava un’unica Divina Liturgia che univa il cielo e la terra, ed in essa il Signore si rendeva presente e operante. Si faceva così esperienza della cattolicità della Chiesa, attraverso l’uso di un linguaggio simbolico universale. L’icona rappresenta un patrimonio comune di fede che non può andare perso e che deve essere riscoperto sempre più e sempre meglio. Il suo carattere simbolico ne fa un’arte atemporale, che non è legata alla cultura del tempo e non dipende dal mutare degli eventi storici, si pone cioè su un piano non cronologico, ma esprime la realtà del kairos, descrive la storia della salvezza. Un’arte che parla all’uomo un linguaggio escatologico rivelandogli ciò che sarà, il suo stato di risorto. Per questo motivo è fondamentale che l’iconografia resti sempre legata ai suoi canoni, perché non è chiamata a parlare solo all’uomo di una certa epoca, ma a quello di tutti i tempi, per comunicargli la stessa eterna verità: Dio si è fatto uomo, ti ha salvato e ti ha destinato alla vita eterna. In questo senso, così come della Sacra Scrittura non si può cambiare nulla, «nemmeno uno iota», perché ciò significherebbe snaturarla, farla decadere dal suo status di «parola di Dio» e ridurla a sola interpretazione umana e soggettiva, così l’icona deve mantenere il suo carattere di oggettività, di rivelazione in immagine, non può dipendere dall’arbitrio del pittore e dalla sua fantasia. Proprio il suo carattere di simbolo universale atemporale fa si che l’icona sia sempre attuale in ogni epoca. Come la Sacra Scrittura e la Tradizione della Chiesa a cui è strettamente congiunta, essa non è mai vecchia e superata ma sempre viva, capace di parlare all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, poiché lo Spirito Santo la illumina e vivifica, rinnovandone continuamente la forza comunicativa. L’icona, questo testimone silenzioso che attraversa i secoli, anche oggi ci richiama alle cose essenziali, alle verità fondamentali della fede cristiana, ad essere cristiani veri, che non seguono le mode del momento e le ideologie dominanti, ma seguono Cristo anche in mezzo alle persecuzioni e alle tribolazioni. Cristiani che abbiano il coraggio di confessare la verità «in mezzo ad una generazione incredula». Le icone oggi continuano la loro missione di testimonianza nel mondo riaffermando la verità dell’Incarnazione e permettendo al Signore di rendersi presente tra noi ed a noi cristiani di non cessare mai di «testimoniare Cristo e Cristo crocifisso».

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