Mio figlio risponde sempre: “No”… che fare?

Consigli pratici

Dare valore a ciò che pensano e provano i piccoli consente ai genitori di consolidare e mantenere la loro autorevolezza e la loro capacità di guida educativa.

Bene, cosa significa nella pratica?


Quante volte i bambini rispondono: “No” a mamma o papà? Quante volte capita di sentire una raffica di “no” anche rispetto alle proposte più allettanti, oppure a quelle più semplici e quotidiane?

Ti è capitato, eh?

Perché i bambini dicono sempre “no”?

Dobbiamo innanzitutto ammettere che il “no” è molto utilizzato anche dai genitori: “Non fare”, “Non toccare”, “Non aprire”… I bambini imparano così che “no” e “non” sono due buone risposte in una relazione, indipendentemente dal contesto.

I bimbi, fino a tre anni, non sanno ancora leggere con razionalità il contesto, l’ambiente e la situazione in cui si trovano, mentre dai tre ai sei anni imparano piano piano a costruirsi un adeguato senso di realtà; utilizzano il “no” secco e diretto proprio per verificare chi e che cosa sono in grado di controllare in una determinata situazione.

Affinché i bambini maturino un sano senso di realtà è necessario ridurre le occasioni di dire “no”, evitando ad esempio di:

  • Porre domande che richiedano un “sì” o un “no” come unica risposta.

  • Prendere alla lettera le loro risposte negative a ogni domanda.

In educazione il linguaggio crea delle “piste” che i bambini prendono “come buone” e che percorreranno man mano che crescono: se i genitori usano troppi “no” nel loro abituale linguaggio, sarà inevitabile avere di rimando il “no” dei bimbi.

È importante quindi introdurre altre forme di linguaggio, ad esempio:

  • Stop” quando non vogliamo che i nostri bambini facciano qualcosa.

  • “Vieni, che facciamo merenda” piuttosto che: “Vuoi fare merenda?”. Al massimo, se non la vogliono fare non mangeranno, ma in tal modo evitiamo che si fissino sul “no” come unica risposta.

Un bambino come impara a dire “sì”? Se noi per primi glielo diciamo più spesso del “no”.

È ottimo, poi, comunicargli la gioia di aver sentito un bel “sì” per farlo sentire su quella “pista giusta” di cui parlavamo prima:

  • “Che bello sentirti dire ‘sì’!”

  • “Mi piace molto come hai detto ‘sì’!”

Sappi però che il “no” ha anche un altro significato, meno visibile ma molto importante: la costruzione dell’identità.

Il processo di formazione dell’identità si può distinguere in due componenti:


 1: identificazione

I bambini si rifanno alle figure rispetto alle quali si sentono uguali (fratelli, sorelle, cugini…) e con le quali condividono alcuni caratteri (usano giochi simili, vivono sotto lo stesso tetto, chiamano “mamma” e “papà” le stesse persone…). Ciò produce il senso di appartenenza a un’entità collettiva definita come “noi” (famiglia, compagnetti al nido o a scuola… fino ad arrivare all’intera umanità!).


 2: Individuazione

I bambini imparano a fare riferimento alle caratteristiche che li rendono diversi dagli altri: sia dagli altri gruppi a cui non appartengono (i bambini di sezioni diverse, scuole diverse eccetera), sia dai bambini del proprio gruppo (o della famiglia), rispetto ai quali ogni bambino si distingue per le proprie caratteristiche fisiche e comportamentali e per una propria storia individuale che si sta costruendo.


In questo quadro più ampio, permettere al proprio figlio di dire “no” anche quando il genitore non lo desidera (o quando la situazione richiederebbe un “sì”), assume un significato profondo. È utile spiegargli con calma la situazione: “Lo so che non vuoi mettere i tuoi giochi nella cesta ma, quando lo avrai fatto, potrai fare ciò che ti piace”.

Una frase di questo genere ha due effetti positivi:

  • Il bambino recepisce che mamma e papà prendono in considerazione il suo rifiuto;

  • il bambino recepisce che la guida rimane comunque il genitore.


Insomma, il “no” può anche essere positivo. Tieni sempre in considerazione ciò che abbiamo imparato oggi, è fondamentale per la buona crescita di tuo figlio.

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