Per una pubblicità più buona

Che la pubblicità non dica sempre la verità è un fatto conclamato di cui i consumatori hanno preso atto da anni; e tuttavia un controllo sulle pratiche commerciali 'scorrette c'è, anzi ce ne sono due: no lo esercita l'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria e l'altro l'AGCM.

Che la pubblicità non dica sempre la verità è un fatto conclamato di cui i consumatori, sempre più informati e diffidenti, hanno preso atto da anni; e tuttavia un controllo sulle pratiche commerciali mendaci (o genericamente "scorrette") c'è, anzi ce ne sono due: uno lo esercita l'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria e l'altro l'AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Di seguito mi occuperò dell'azione di quest'ultimo soggetto. Le pratiche commerciali "censurabili" si dividono in due categorie: quelle ingannevoli (a loro volta suddivise in azioni e omissioni) e quelle aggressive. Per la prima fattispecie è perciò introdotto un parametro di giudizio che può essere per così dire "sfuggente": quello dell'ingannevolezza. Nella prassi dell'AGCM, per stabilire se una comunicazione commerciale sia ingannevole o meno, è presa a riferimento la capacità di giudizio del consumatore medio; con una particolare attenzione per le categorie più "vulnerabili", laddove la vulnerabilità è intesa in un'accezione estesa che non si limita ai soggetti tradizionalmente considerati come deboli (gli indigenti, gli alcolisti, le minoranze etc.), ma include per esempio anche il pubblico femminile poiché sottoposto alla pressione dei canoni di bellezza dominanti cui pare imperativo adeguarsi.

Si ha un'azione ingannevole quando una pubblicità contiene informazioni false o induce in errore il consumatore; si ha un'omissione quanto la comunicazione pubblicitaria non riporta informazioni essenziali affinché il consumatore scelga consapevolmente. Sono invece aggressive quelle pratiche commerciali che limitano la libertà di azione del consumatore; ad esempio quelle che cercano di sfruttare il cosiddetto "pester power" esortando i bambini a farsi comprare un determinato prodotto dai genitori.

È legittimo chiedersi: va bene la teoria, ma nella pratica quali sono le sanzioni? Un tempo erano basse, così basse che le aziende preferivano giocare sporco e poi pagare; oggi vanno dai 5.000€ fino ai 5 milioni (!). Oltre alla forza sanzionatoria, l'Autorità può anche esercitare la propria moral suasion, cercando di convincere l'inserzionista che ha sgarrato a fare marcia indietro prima che si arrivi all'apertura del provvedimento; provvedimento che una volta aperto finisce quasi sempre in una condanna: nel 90% dei casi! Per cui, meglio ravvedersi prima…

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